28 marzo 2012

«Non mi interessa e basta»

Sono giovani. Hanno dai 18 ai 30 anni. Vestono rigorosamente all'ultima moda. Sfilano davanti al banchetto a passo svelto. Veloci. Vanno avanti spediti. Sguardo dritto. Mai un cenno, un prurito alla coda dell'occhio o un minimo di curiosità. Non ci vedono. E se li fermi la risposta è sempre la stessa: «Non mi interessa». Non ti interessa cosa? «Non mi interessa e basta».

Non sono quattro gatti, forse sono la maggioranza. Un mio amico gli ripete sempre che «chi non ha il coraggio di ribellarsi non ha il diritto di lamentarsi». Sì ma il problema è che questi non si lamentano neanche. «Che mi frega dello Stato se allo Stato non frega niente di me?» è il massimo che riesci a tirar fuori dopo innumerevoli tentativi di dialogo. Sono vittime? In parte. Sono stupidi? Non totalmente. E allora cosa sono? Chi sono?

Loro sono noi. Sono quella parte di noi che viene fuori quando il barbiere di fiducia non ci fa la ricevuta e non gliela chiediamo per paura di fare chissà quale figura. Sono le nostre facce quando entriamo nel supermercato facendo finta di ignorare i mendicanti all'ingresso. Ce li ritroviamo davanti allo specchio tutte le volte che a lavoro non denunciamo per paura di perdere il posto.

In giro si sente parlare di «scoraggiati» ma non è la stessa cosa. Lo «scoraggiato» è uno che il coraggio ce l'aveva e poi l'ha perso o qualcuno ha fatto in modo che lo perdesse. Questi invece sono a metà tra il disinteressamento e l'omertà. "Disinteromertosi", o roba del genere.

Sia chiaro, non sono tutti così. Ma allo stesso tempo è innegabile che esista una realtà così triste. Che poi, come dargli torto? Cosa offre lo Stato ai giovani? Li fa sentire utili? Perché dovrebbero sentirsi parte di una coscienza collettiva che non ha niente da offrigli? Lo so, l'argomento è complesso. Probabilmente sono il meno adatto per parlarne e sicuramente qualcun'altro ne sa più di me. Il problema però rimane. E allora, che fare?

«Chi è causa del suo male pianga se stesso» è una frase che non mi è mai piaciuta. Questa parte di giovani ha bisogno di modelli, non da seguire ma da capire. Di ispirazioni che sappiano dargli consapevolezza dell'importanza di essere cittadini attivi e non sudditi ignari. Perché ce lo insegna la storia: il popolino è molto più facile da governare rispetto ai forconi.

Commentate pure questa riflessione con tutto quello che volete. Ma se c'è una cosa che la nuova politica, soprattutto quella del Movimento 5 Stelle, deve imparare ad affrontare è la cittadinanza anomica di questo tipo di giovani la cui unica consolazione sta nel sentirsi dire «non vi preoccupate, tanto siete voi il futuro del Paese». Ecco, chiariamo bene questo concetto.

Dobbiamo smetterla di farci prendere per il culo. Non è vero che siamo «il futuro del Paese». Siamo il presente, l'oggi, l'adesso. Ogni volta che ci raccontano la favola del «futuro» ci distraggono dal nostro tempo. Ci impediscono di prendere in mano la realtà. Ci illudono che con la speranza si aprano tutte le porte della vita. Ma quando mai. Una volta il regista Mario Monicelli ha detto che «la speranza è una trappola». È la prova che anche un ateo può dire parole sante.

Svegliatevi, svegliamoci. Siamo giovani adesso, il futuro è dei vecchi e se non ci interessa, spiegatemi, a chi dovrebbe interessare?