19 gennaio 2015

Centro storico: anarchia o opportunità?

In Italia, in Europa, in tutta l’area mediterranea, quando si vuole identificare una città o un borgo si pensa subito al suo centro storico, alle sue caratteristiche architettoniche. Palazzi, chiese, campanili, piazze, fontane, giardini pubblici e privati. Il "forestiero" vuole conoscere la città attraverso queste tracce storiche così differenti e distintive e una bellezza nascosta esiste in ogni luogo per quanto l'intervento umano possa aver contribuito a deturpare.

Spesso nel sud d'Italia il Centro storico è diventato un non-luogo, un ostacolo a tutte le attività, simbolo di un passato remoto non sempre piacevole da ricordare, un concentrato di abitanti a basso reddito e talora dediti ad attività illecite, un coacervo di odori, puzze, rumori e suoni ad alto volume. Questo sulla carta, visto che poi basta farsi un giro nel centro storico per scoprire veri tesori, umani e culturali.

Eppure il pregiudizio è rimasto immutato nell'immaginario collettivo per decenni, quasi a costringere gli abitanti di una città a considerare il centro storico come una periferia da abbandonare, a favore di altri quartieri più moderni. È successo anche ad Andria dove per tanti anni il centro storico è stato abbandonato all'incuria e al degrado e più volte si è cercato di raderlo al suolo (vedi il quartiere Grotte di Sant'Andrea, la demolizione della chiesa e del campanile delle benedettine con annesso monastero, i numerosi tentativi andati in porto di costruire condomini orribili a più piani).

Mentre in tutta l'Italia settentrionale il centro storico ha assunto il ruolo che gli compete, divenendo il cuore pulsante e caratterizzante dell'intera comunità, al sud questo processo logico è molto lento. Oggi anche ad Andria si assiste al timido tentativo di ripopolare i suoi palazzi e le sue case. Appassionati cittadini hanno scommesso sulla riqualificazione. 

Ciò che altrove è naturale qui è una scommessa.
Lentamente, all'esigua popolazione rimasta si è aggiunta una nuova "classe" di cittadini, forse un po' estranei ai luoghi ma più consapevoli del valore della memoria e più rispettosi della qualità architettonica complessiva.

La riqualificazione non è semplice, spesso non si esaurisce in un'azione, spesso è molto onerosa e consiste nel far rivivere un quartiere nella sua quotidianità, nella normalità dei gesti, delle voci. Accanto a questa forma di "reintegro ambientale", oggi si presenta prepotentemente una forma d'invasione violenta, irrispettosa dei luoghi: quelle che una volta erano botteghe artigianali operose diventano luoghi di somministrazione di cibi e soprattutto bevande alcoliche, giovani fondamentalmente ignoranti e disorientati pensano di frequentare un set cinematografico tutto di cartapesta dove è consentita ogni "libertà", tanto il posto è disabitato o al massimo c'è qualche vecchietto sordo.

Il disordine diventa incontrollabile, le pareti e le pietre centenarie sono ricoperte di insulsi scarabocchi, il frastuono è simile a quello di un Luna Park, lo smog insopportabile, i marciapiedi, le piazze, il sistema delicato delle stradine trasformato in un parcheggio selvaggio. Tutto ordinariamente senza controllo alcuno, in attesa che succeda qualcosa, magari una rissa o un'aggressione. È già un miracolo che questo non avvenga ogni notte.

I "politici" blaterano di rivitalizzazione del Centro storico. 
Eppure stanno solo perpetuando gli errori commessi nei centri vicini, come Bari, Barletta. Anzi, peggio: lì almeno non ci sono le auto a rendere l'aria irrespirabile!

Occorrono regole precise, un progetto lungimirante, coinvolgente e ampiamente dibattuto a livello cittadino, perché un quartiere importante e strategico per la città non si trasformi in un ghetto del malcostume, in una "zona franca" dove tutto è lecito e dove un giorno non proprio fantascientifico si potrebbero concentrare le peggiori forze disgreganti della città, unite per distruggere tutto.